mercoledì 18 settembre 2013

#Racconto 5 - Il sole d'inverno

Era seduto sulla ringhiera della veranda. Sembrava così piccolo mentre guardava il tramonto, così fragile, così dolce. Aveva in dosso la maglietta che portava al mare, aveva ancora i capelli che profumavano di sale e sembrava che il sole gli avesse costruito una gabbia dorata tutta intorno. Rimasi qualche minuto a studiargli la schiena, il profilo, il braccio poggiato sulla gamba, la mano che stringeva il lembo della maglia in un gesto inconscio di  autorassicurazione. Sentii la sua paura e ne venne di contro anche a me. Soffiava un venticello fresco ma lui non lo soffriva, sembrava si facesse scompigliare le foglie della sua anima piacevolmente come se fosse entrato a far parte del paesaggio. Avevo paura ad avvicinarmi, poi presi coraggio e abbozzai due passi. Non volevo turbare la sua gabbia dorata ma al contempo turbò me il fatto che non si accorgesse della mia presenza. Nonostante questa sensazione di essere respinta mi avvicinai ancora. Avrei voluto abbracciarlo e spezzare quelle catene che lo allontanavano da me ma prima gli chiesi: "a che pensi?". La mia voce fu come il verso di un uccello stridulo, mi pentii di aver dato voce a quella domanda.
Si girò stupito di vedermi, mi sorrise dolcemente e tornò a guardare il tramonto che diventava sempre più blu dando spazio al silenzio della notte.
Mantendo quello sguardo intenso, come se stesse leggendo nell'aria, mi rispose con la sua voce più calda: "Hai presente quando dai un senso alle cose? Quando tutto sembra in ordine? O, meglio, quando dai un ordine alle cose? Quando ti vedi fuori da te stesso e vedi la tua vita come un film o un libro? Quando guardi l'orizzonte, gli alberi, il mare, le strade e leggi su di loro un'infinità di parole sbiadite? Non sai leggerle ma ne capisci il significato come se d'un tratto parlassi una lingua sconosciuta.
A volte ti senti smarrito perchè non sono parole chiare, sono solo graffiti sbiaditi, infondo, ma hanno senso, cavolo...
Ora è così, l'estate è finita e noi siamo alla ricerca ognuno del proprio inverno.
Quando finisce l'estate devi tornare al tuo posto: al tuo banco, alla tua scrivania, al tuo ruolo, alla tua vita, al tuo inverno. Tutti qui hanno un inverno. Bhè io non ce l'ho... Ma sai cosa è chiaro lì, su quelle montagne, e lì, tra quelle nuvole? Che il mio inverno è alle porte ed io lo troverò. Sta per travolgermi con il suo gelo e a quel punto il calore dovrò trovarlo dentro di me, non importa come, non importa dove: ci sarà il mio inverno fuori e ci sarà il mio camino dentro. Io ce la farò, e quando non avrò più voglia di far niente rimanderò a domani ma ce la farò, l'inverno è lungo ed io lo vivrò."
La sua voce tremò ed io con lei. Aveva piú paura di quando i suoi pensieri erano ancora a crogiolarsi nel buio della loro mancanza di sostanza. Ora erano lì, davanti ad entrambi ed ad entrambi sembrarono dei mostri terribili. Nei suoi occhi però vidi un cavaliere con una spada in mano e un pugno nell'altra. Non era senza macchia e nemmeno senza paura ma sapeva che nel pugno era proprio quella paura ad essere la sua arma piú forte.
Gli accarezzai la spalla, sorrisi sperando di tornare ad attirare il suo sguardo. Sperai di assumere la forma e l'energia di un girasole che riuscisse ad illuminare il suo tramonto in modo che fosse sicuro che l'indomani sarei stata lì a seguirlo ancora, in modo che fosse sicuro che nella notte avrei guardato verso di lui e che, anche se la coperta nera della notte non mi avesse consentito di vederlo, avrei vegliato su di lui. Come sin d'ora vegliavo su di lui attraverso quella gabbia del sole che mano a mano diventava quella coperta fredda e scura.
Si girò finalmente ed io potei respirare, mi sorrise e per me fu come se il mio sole mi dicesse: "ciao, a domani".


Dipinto di Lesley Birch,"another world"


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